Fu l’Università Johns Hopkins di Baltimora, sul finire degli anni Novanta, a studiare per la prima volta, da un punto di vista giuseconomico, la fisionomia degli enti del Terzo settore: si tratta di un modello che ha via via preso piede su scala globale, pur con variabili territoriali pressoché infinite.
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Da tempo, anche in Italia, il Terzo settore ha suscitato l’interesse non solo degli studiosi ma anche del legislatore, che è gradualmente intervenuto sulla materia, pur con provvedimenti normativi spesso privi di qualsivoglia sistematicità. La stratificazione normativa mostrava il difetto di essere stata concepita, per lo più, sull’impronta del diritto tributario e solo in parte su quella del diritto civile: due logiche diverse che faticavano a trovare un coordinamento. Con l’approvazione del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (c.d. Codice del Terzo settore) il legislatore ha tentato un riordino organico della materia e delle questioni gravitanti intorno ai c.d. enti non profit. Ma, data la complessità del Codice, estremamente eterogeneo nel suo contenuto, appare quasi inevitabile riscontare in esso manchevolezze e criticità non affatto secondarie: il nuovo testo appare non del tutto esaustivo e autosufficiente, sopravvivendo, per esempio, una serie di leggi speciali, cui il Codice rinvia; pure il riferimento massiccio a norme, principi e regole tipici del diritto societario e quindi all’intero Libro V del codice civile non è esente da ombre. Il Codice del Terzo settore, ad ogni modo, ha l’indubbio pregio di colmare un vuoto che fino ad oggi era stato riempito perlopiù dalla sola legislazione tributaria, rimettendo al centro del sistema il diritto sostanziale privatistico, in una portata sistematica che ad esso va indubbiamente riconosciuta. Resta sullo sfondo la questione della relazione tra disciplina generale, quella del codice civile, e quella speciale del Codice del Terzo settore, fatto che pone la questione del mancato intervento sul Libro I del codice civile. In quest’ottica riemerge essenziale la funzione dell’interprete – e quindi del presente volume di commento – cui è rimesso il compito di dare razionalità al sistema normativo e di chiarire cosa sia lex specialis e cosa lex generalis e di come si atteggi il rapporto tra le due nozioni; ciò non solo all’interno del Codice del Terzo settore, in cui si rinvengono vere parti generali accanto a microsistemi normativi settoriali, ma anche in rapporto a fonti esterne — in particolare il codice civile — che mantengono inalterata la propria centralità ordinamentale quali parametri interpretativi irrinunciabili.
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VAN00@Biblioteca del Dipartimento di Giurisprudenza