Non è raro che si senta parlare di un Trilussa afascista, non fascista, mussoliniano, o di un Trilussa crepuscolare, perso nella Roma della sua gioventù e incapace di cogliere il senso delle novità introdotte dal regime.
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Seguendo la sua produzione poetica, Trilussa si staglia sul suo tempo per il coraggio mostrato nel farsi paladino della pace, dell'uguaglianza e del libero pensiero e nel denunciare, con una satira sottile, i limiti dell'uomo e della politica, di qualunque colore; per essersi fatto interprete degli stati d'animo del popolo e delle sue tensioni più profonde, per quel non detto, quei puntini sospensivi che più che un'autocensura erano un rimando a ciò che tutti potevano capire senza doverselo sentir dire. Trilussa non fu fascista e non fu mussoliniano. Tantomeno fu fascistizzabile, nonostante tra i suoi estimatori vi fossero diversi esponenti del regime. L'informatrice Elvira Gottardi lo definì un "antifascista cerebrale". La Polizia politica creò un fascicolo a suo carico, mise sotto controllo il suo telefono e lo circondò di informatori. Il governo lo lasciò "libero" di pubblicare, perché non si poteva mettere la mordacchia a un intellettuale di fama mondiale e per non ledere gli interessi del fido Mondadori. Al tempo stesso non gli conferì alcun riconoscimento: non fu mai nominato accademico d'Italia e non gli furono mai concessi sussidi, di cui beneficiarono invece centinaia di intellettuali.
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