Non si può comprendere appieno il senso profondo della Costituzione americana se non se ne indagano le radici storiche. Le radici della Costituzione americana affondano nelle idee e sommovimenti che portarono alla rivoluzione americana e alla Dichiarazione di Indipendenza.
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A differenza della rivoluzione francese, segnata dalla necessità di una frattura con l’antico regime, la rivoluzione americana costituì la riaffermazione dell’antico patrimonio costituzionale della madre patria, contro un potere sovrano che quei principî mostrava di aver tradito. L’occasione prossima fu rappresentata dall’approvazione da parte del Parlamento britannico di una serie di misure con le quali la madre patria mirava a scaricare sui coloni i problemi finanziari derivanti dalla presenza delle sue truppe nel Nordamerica. In particolare, l’approvazione, nel 1765, dello Stamp Act – che impose il pagamento di una tassa su ogni foglio stampato – suscitò le prime violente reazioni da parte dei coloni americani, che invocarono l’antico principio del common law inglese secondo cui non vi poteva essere tassazione senza rappresentanza. Fu così che le tredici colonie, riunite in Congresso a New York, approvarono la Declaration of Rights and Grievances, con la quale, pur rinnovando la loro fedeltà al governo di Sua Maestà, Tra storia e diritto 2 Diritto costituzionale degli Stati Uniti d’America negarono la legittimità dell’imposizione tributaria britannica, in quanto «è essenziale per la libertà di un popolo, ed è incontestato diritto degli inglesi, che nessuna tassa sia loro imposta se non con il loro stesso consenso, dato personalmente o dai loro rappresentanti». Non si trattava ancora quindi, in senso stretto, di una rivoluzione quanto, piuttosto, di un atto di fedeltà verso l’ancient constitution britannica [Fioravanti, 2014]. Gli eventi degli anni successivi mostrarono, tuttavia, come la strada tratteggiata dal Congresso di New York non era più percorribile. Sebbene il Parlamento britannico abrogò lo Stamp Act, tuttavia riaffermò il suo «pieno potere e autorità per fare leggi e statuti di forza e validità sufficienti per legare le colonie e il popolo d’America, sudditi della corona di Gran Bretagna, in tutti i casi» (The Declaratory Act 1766). Si determinò, sul punto, una frattura profonda tra la Gran Bretagna e le colonie che, al contrario, ritenevano che la sovranità del monarca potesse esercitarsi esclusivamente sotto la forma del governo limitato dai principî costituzionali del common law, primo fra tutti quello della no taxation without representation. La contrapposizione era dunque su due differenti concezioni della sovranità: quella degli Englishmen, che rivendicavano un’autorità suprema unica e indivisa, e quella degli americani, che non riconoscevano pienamente una tale autorità in assenza di un’effettiva rappresentanza delle colonie. Quando poi Lord North venne nominato Primo Ministro e il Parlamento di Westminster approvò il Tea Act del 1773 con il quale concedeva alla Compagnia delle Indie il monopolio del commercio del tè nelle colonie, si arrivò al punto di non ritorno. Per soffocare la ribellione del Massachussets la Gran Bretagna chiuse il porto di Boston ed esautorò la Camera dei rappresentanti nominando Governatore il Generale Gage. La rivolta che ne scaturì trovo terreno fertile anche negli altri territori, anche se fu solo con il Secondo Congresso continentale, che riunì a Filadelfia i delegati delle colonie, che dopo alcune ambiguità si decise di resistere con le armi alle pretese di Westminster e fu nominato George Washington comandante dell’esercito continentale. [dal primo capitolo]
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