Il recente viaggio della Corte costituzionale nelle carceri italiane è stato non soltanto un’esperienza civica e democratica da parte di uno dei massimi organi istituzionali italiani, ma il primo gesto concreto per proteggere con il proprio “scudo” tutti coloro che si trovano in stato di detenzione.
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La Consulta ha dimostrato, infatti, di difendere i diritti dei ristretti, anche con sentenze coraggiose come la n. 99 del 2019 (sulla parità di trattamento fra detenuti portatori di gravi patologie psichiche e fisiche), la n. 253 (sui permessi premio agli ergastolani ostativi che non collaborano con la giustizia) e la n. 263 del 2019 (sui permessi premio ai soggetti minorenni condannati per delitti ostativi che non collaborano con la giustizia). A conferire un volto umano al sistema carcerario hanno contribuito anche la Corte EDU e l’attività giurisdizionale della Corte di Lussemburgo che negli ultimi anni hanno portato ad un maggior bilanciamento fra gli interessi legittimi di sicurezza e la tutela dei diritti umani dei detenuti. Indubbiamente il percorso di riforma e di ripensamento del carcere è complesso ed in salita, ma auspichiamo che aumentino e siano sempre più dettagliate le Raccomandazioni europee, lo strumento più efficace per dare valore al complesso di diritti che compongono l’ordinamento penitenziario, spostando il suo baricentro verso l’esternalizzazione della pena ed un modello di giustizia riparativa che prosciughi la pena detentiva. La necessità di cambiamento ora è più urgente che mai, dal momento che gli effetti “sedativi” della sentenza Torreggiani sono ormai svaniti ed il clima di tensione interno al carcere sta salendo inevitabilmente.
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