Agli occhi di noi italiani la Germania rappresenta un modello di modernità e di efficienza fra gli Stati membri dell’Unione Europea sotto molti punti di vista, non soltanto economico o tecnologico, ma anche sotto il profilo dell’evoluzione della società civile e dei suoi costumi.
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Un’immagine senz’altro corretta nel suo complesso e che è risultata ulteriormente rafforzata nel contesto dell’epidemia di Covid-19, che la Germania ha dimostrato di sapere gestire in maniera esemplare, coniugando la salvaguardia della salute dei cittadini con un’efficace tutela delle produzioni e del sistema Paese nel suo complesso, senza dimenticare l’impegno profuso con i partner UE per assicurare una risposta di portata europea alla pandemia e alle sue conseguenze sociali ed economiche.Questo perché il cosiddetto «modello tedesco», come i mass media lo hanno definito spesso proprio nelle cronache dell’epidemia, non è incentrato sulle sole dimensioni del capitalismo e del liberalismo e, dunque, della concezione dell’economia come meramente volta alla produzione e alla generazione di plusvalore tramite la libera circolazione di merci e servizi. Nel modello tedesco si evidenziano infatti elementi ulteriori e peculiari della storia culturale tedesca: vi sono relazioni industriali pienamente compartecipate fra parte datoriale e rappresentanti dei lavoratori, vi è la cura alla formazione professionale, vista non solo come qualificazione della manodopera ma anche quale strumento di ascensione sociale, vi sono gli investimenti pubblici e privati in innovazione, ricerca e trasformazione digitale, senza contare la costante attenzione per la sostenibilità ambientale della crescita e la qualità dei servizi pubblici. Si tratta, in poche parole, del modello tedesco di economia sociale di mercato (soziale Marktwirtschaft), «una concezione del capitalismo che molto deve alla dottrina sociale della Chiesa e alla capacità di esponenti politici cristiano democratici di tradurla in realtà nella Germania del secondo dopoguerra». [Dall'introduzione]
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