La Dottrina dello Stato di Hermann Heller chiude la grande stagione del pensiero giuridico weimariano e ne costituisce un capitolo - tutt'altro che marginale - del testamento spirituale.
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Pubblicata postuma nel 1934 a cura dell'allievo Gerhart Niemeyer, essa mira a superare quel pensiero antinomico del diritto che aveva segnato le grandi opere degli anni '20, dalla Dottrina generale dello Stato di Kelsen alla Dottrina della costituzione di Schmitt. Heller prende le mosse dall'affermazione della incoercibile natura sociale dello Stato: l'istituzione politica sovrana non è nè frutto esclusivo di un processo di formalizzazione concettuale, una mera Fiktion, nè il risultato di una decisione astratta dalla forma complessiva della sua esistenza. L'interrogazione intorno al senso dell'ordine politico va riproposta in chiave di totalità: non è un caso che nella Dottrina dello Stato, ancor più che nelle sue opere precedenti, Heller si soffermi sul pensiero politico hegeliano, in un'epoca che tendeva ad ignorarlo o a porlo come l'alfiere del nuovo Stato autoritario, riscoprendone in modo originale le tensioni e le geniali aporie che lo attraversano. Su queste basi Heller tenta di ripensare, innanzitutto, il metodo della scienza politica - sostenendo la necessità di definire la dottrina dello Stato come scienza della realtà - e di disegnare una «mappa» delle condizioni, naturali e culturali, necessarie al costituirsi della società civile e, poi, dello Stato stesso. La relazione fra Stato e diritto, il «luogo » teorico che agitava tutto il dibattito intorno alla costituzione weimariana, apre al problema del potere dello Stato, e dunque al problema della sua legittimazione: la ragion di Stato e la coscienza giuridica individuale si affrontano, su questo terreno, in un conflitto insanabile che nessuna « ottima » costituzione può risolvere, ma soltanto, nel migliore dei casi, tentare di rappresentare.
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