Agli inizi del XVI secolo un giurista inglese, Plowden, sostiene una singolare teoria sulla persona del re: di là dal suo corpo naturale, mortale, soggetto alle malattie e alla vecchiaia, il sovrano dispone anche di un corpo «politico», invisibile, incorruttibile, che mai invecchia, si ammala o muore.
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In questo secondo corpo, che passa da un re all’altro in una successione virtualmente senza fine, si concentra l’essenza della sovranità, del potere regale. Dalla scoperta di questa finzione giuridica, enunciata allo scopo di porre al riparo i diritti della Corona e dello Stato dalle pretese di poteri e istituzioni particolari, nasce l’affascinante ricerca di Kantorowicz attorno al tema medievale del corpo doppio, della persona ficta e della dignitas immateriale che conferisce l’aureola dell’autorità, la legittimazione stessa del potere. I due corpi del Re è ormai un classico, e non solo dell’indagine sulla ritualità e la simbologia del potere: quella dignitas perpetua, che «non muore mai», cercata senza sosta in tutte le sue manifestazioni nell’universo mentale del Medioevo, porta Kantorowicz alla scoperta della piú grande, e laica, di queste figure fittizie: l’humanitas, la dignità stessa dell’essere uomo che accompagna, come un corpo mistico perenne, ogni singolo individuo.