Tra luglio e dicembre del 1933 il teologo cristiano Gerhard Kittel e il filosofo ebreo Martin Buber intrattengono una polemica pubblica che si esprime attraverso alcuni brevi testi, proposti integralmente per la prima volta in italiano.
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La disputa si incentra sulla figura del ger, lo straniero che nei tempi biblici viveva in mezzo al popolo d'Israele e la cui collocazione sociale diviene ora paradigmatica per l'atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei che, a parti invertite, hanno assunto quel ruolo nella società tedesca. La discussione, che riguarda una questione attualissima - divenuta ancor più cruciale dopo l'ascesa di Hitler al cancellierato il 31 gennaio 1933 - assume quindi la veste di una diatriba nell'ambito dell'esegesi biblica. L'esito dovrebbe per Kittel fornire - e per Buber sottrarre - al legislatore tedesco un supporto biblicamente fondato per assumere decisioni sul posto e sul ruolo da assegnare agli ebrei nel Terzo Reich. Al di là del palese fair play accademico, tutto separa religiosamente e politicamente i due interlocutori. L'unico terreno comune è il riferimento al testo biblico, la cui normatività ed esemplarità è costitutiva, sia pure in modo non identico, delle rispettive appartenenze religiose.
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