Nel 1891, all'età di 35 anni, Sigmund Freud dava alle stampe L'ìn-terpretazione delle afasie, una puntigliosa rassegna critica delle più recenti teorie sui disturbi neurologici del linguaggio, culminante in una nuova lettura della dinamica del funzionamento psichico alla luce dei suoi rapporti con la controparte cerebrale.
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Nell'ultimo ventennio, di quel testo freudiano - prima considerato ultimo attracco di un Freud neurologo in procinto di levare l'ancora verso rotte psicoanalitiche -, sono venute alla luce insospettate direttrici di pensiero. In primo luogo si configura come avanguardia di una neuropsicologia che, ai suoi primi passi, tenta di rendere conto del rapporto psiche/cervello in termini di dinamica, falsificando quei modelli che all'epoca riscuotevano consenso pressoché unanime col fissare e risolvere funzioni psichiche complesse in strutture anato-miche lineari. In secondo luogo, è atto battesimale della psicoanalisi, perché vi vedono la luce alcuni dei più importanti concetti della futura metapsicologia, primi fra tutti quelli di rappresentazione d'oggetto e di parola, chiave di volta dei lavori freudiani del 1915. E infine possiede una misconosciuta portata filosofica che si può cogliere in pieno solo a patto di mettersi sulle tracce, da un lato, della più antica storia del concetto di rappresentazione, dall'altro della più recente storia delle scoperte ottocentesche in tema di neuroscienze. Il testo afasiologico freudiano viene qui proposto munito di un apparato storico-critico capace di orientare il lettore nel labirinto di quelle medesime controversie che affrontò il giovane Freud, e seguito da una postfazione che colloca quelle controversie nella tortuosa storia, scientifica ma anche sociale, del rapporto psiche/cervello e del concetto di rappresentazione.