Nella lunga notte del processo penale la Cassazione è una figura sdoppiata. C'è la Cassazione tradizionale, che ha la fobìa del fatto e vive sulla cruciale distinzione legittimità-merito. È una Cassazione tolemaica, che si pone al vertice del sistema giuridico come una divinità lontana, sensibile alla legalità e cinicamente indifferente alla giustizia.
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È la Cassazione del diritto vissuto, che affronta i problemi del presente con le categorie giuridiche del passato, che ragiona per sillogismi, ignora ragionevole dubbio ed ipotesi alternative ed è legata al formalismo delle nullità. E c'è una nuova Cassazione. È la Cassazione, che abbandona l'anacronistico tabù del merito e che per fronteggiare la colata lavica dei ricorsi cerca barriere selettive più efficaci, come l'interesse, la specificità e decisività dei motivi. Una Cassazione copernicana, detronizzata dal vertice dell'universo giuridico, ma che è capace di reinventarsi, volgendosi dalla norma al caso, puntando alla lesività delle nullità e valorizzando il principio di preclusione. Una Cassazione che entra nel fatto, che ragiona con probabilità e ipotesi, che affronta prova scientifica e processo indiziario e che fissa regole logiche di ragionamento e protocolli argomentativi al fine di raggiungere - attraverso la legalità - la giustizia. È la Cassazione del diritto vivente, che si muove nella luce calda dei problemi roventi, che accetta le sfide di un mondo complesso.
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