All'inizio del Duecento prese avvio a Roma la costruzione di un nuovo palazzo papale, voluto da Innocenzo III presso la basilica Vaticana come sede alternativa al Laterano. Tuttavia, proprio durante il secolo XIII, la curia pontificia fu assente dalla città per circa il sessanta per cento del tempo.
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I motivi di questa mobilità furono vari: sfuggire ai fastidi del clima estivo dell'Urbe, rafforzare l'autorità temporale nelle città dello Stato della Chiesa, schivare spinosi contrasti politici con le potenti famiglie romane. Il fenomeno non era sconosciuto in precedenza, ma nel corso del Duecento diventò sistematico, e risale alla metà del secolo la nota formula «ubi papa ibi Roma»: ovunque si trovi fìsicamente il papa, lì è la sede apostolica. Il trasferimento della corte coinvolgeva centinaia di persone - cardinali, collaboratori del pontefice, funzionari dell'amministrazione centrale - e comportava la necessità di reperire spazi adeguati a ospitare un seguito di tali dimensioni e complessità.
Partendo da questo fenomeno, il libro studia l'architettura dei palazzi papali duecenteschi, espressione visiva del potere della Chiesa ma anche, talora, segno delle ambizioni della città che accoglieva il pontefice. Di tali residenze, finora analizzate per lo più singolarmente, la ricerca presenta un'ampia lettura complessiva: dalle sedi romane del Laterano e Vaticano ai palazzi di Viterbo, Orvieto e Rieti, indagando sulle vicende costruttive, l'organizzazione spaziale e funzionale, il ruolo della committenza, l'attività delle maestranze, gli interventi di restauro.
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