«Con ciò non vogliamo dire che, per essere nel vero, entrambi sarebbero dovuti restare fedeli al fascismo vita natural durante. Vogliamo solo dire che la verità, per essere vera, avrebbe dovuto consigliare sia a Zangrandi che ad Aldo Moro un comportamento semplicissimo e nemmeno eccessivamente coraggioso.
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Invece di star lì a negare di essere stati fascisti e di avere partecipato da fascisti alle istituzioni del regime, avrebbero dovuto limitarsi ad ammettere: per me è vero che lo siamo stati, ma è anche vero che, le successive esperienze e la mutata realtà storica ci sconsigliò di continuare ad esserlo. Nessuno avrebbe potuto recriminare più di tanto (Mussolini replicò un giorno alla Sarfatti che solo i paracarri stanno fermi e non gli uomini, né le idee) ed essi medesimi si sarebbero risparmiata la pagliacciata di una gara sul migliore alibi difensivo del loro passato». È noto che Pirandello prese la tessera del Partito fascista dopo il delitto Matteotti e fu uno dei 250 firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti; ma Pirandello fu fascista senza averne alcuna utilità in cambio. Di molti altri, invece, prima fascisti e poi comunisti, prima inneggianti (servo encomio?) al Duce e al regime e poi denigratori, forse non si può dire la stessa cosa. Il primo a denunciare il cambio di bandiera, dal nero al rosso, di parte degli intellettuali italiani è stato Nino Tripodi, che era stato iscritto ai giovani universitari fascisti. La postfazione dello storico Giuseppe Parlato aiuta a chiarire il clima, le ragioni e il torto di un libro che è certamente di parte e indiscutibilmente polemico e che, tuttavia, nel 1978, portò alla luce la cruda verità che si tentava e si era tentato di nascondere, edulcorare o addirittura mistificare.
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