Il 2 gennaio del 1921 apparve sulla rivista l’Ordine Nuovo un articolo senza firma, ma scritto da Antonio Gramsci, intitolato Il popolo delle scimmie.
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Nell’articolo veniva richiamata una novella tratta da Il libro della giungla di Rudyard Kipling, che aveva come protagoniste le Bandar-Log, un popolo di scimmie caratterizzato dall’inclinazione alla violenza nei rapporti con gli altri e dall’incapacità di coltivare progetti e di darsi regole coerenti e stabili, ma, nello stesso tempo, presuntuoso, vanaglorioso ed esibizionista, fino a convincersi di appartenere ad una razza superiore; in realtà, assai vulnerabile al rischio di essere rovinosamente illuso e sedotto dal demagogo di turno. Nel corso di questo studio, l’immagine delle Bandar-Log non è mai sparita dalla mia mente, al punto da persuadermi che essa potesse riassumere al meglio la storia degli italiani nel trentennio esaminato, narrata sotto il profilo costituzionale e fornire il filo di Arianna nel labirinto degli eventi che si sono succeduti. I dialoghi immaginari tra personaggi storici di epoche diverse sono da tempo un genere letterario parecchio frequentato. Alla famosa esortazione di Massimo D’Azeglio a fare gli italiani, Benito Mussolini potrebbe rispondere di esserci riuscito, di averli fatti a sua immagine e somiglianza, abituandoli a quella pratica di sostituire il (un) Duce alla realtà, che fu l’essenza del fascismo, destinata a durare nel nostro Paese ben oltre la sua fine. I brani riportati sotto le cinque parti in cui è diviso il libro sono tratti dalla poesia di Eugenio Montale, La storia, 1964.
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