Il primo aspetto da prendere in considerazione nella trattazione delle fonti del diritto del lavoro è quello dell’evoluzione storica, sotto il profilo sia della cognizione che della produzione normativa. Si tralascia, invece, la trattazione dogmatica del sistema delle fonti, poiché la relativa problematica è comune agli altri rami del diritto: l’art. 1 disp. prel. c.c.
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elenca le fonti del diritto oggettivo (leggi, regolamenti, usi), rinviando al diritto costituzionale per la struttura gerarchica del relativo sistema e per la competenza, l’efficacia e la validità degli atti che lo compongono. Per il diritto del lavoro, una volta abrogato l’ordinamento corporativo e soppressa la rilevanza delle fonti ad esso peculiari – e cioè, ai sensi del-l’art. 5 disp. prel. c.c., il contratto collettivo, l’accordo economico collettivo, l’ordinanza corporativa e la sentenza della magistratura del lavoro – l’unica particolarità degna di nota è offerta dall’art. 2078, co. 1, c.c., a mente del quale gli usi, contrariamente alla regola generale sancita dal-l’art. 8 disp. prel. c.c., prevalgono sulle norme dispositive di legge se più fa¬vorevoli al prestatore di lavoro. Anche qui, peraltro, si è in presenza non di una modificazione del normale regime di forza e valore delle fonti nor-ma¬tive, bensì di una diversa e rafforzata efficacia della fonte consuetudinaria rispetto a quella legale, ai soli fini, però, dell’integrazione degli effetti del contratto (cfr. art. 1374 c.c.); su questo piano l’efficacia degli usi resta naturalmente dispositiva e quindi derogabile, in ogni caso (cfr. art. 2078, co. 1 e 2, c.c.), dall’autonomia privata individuale o collettiva.
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