Il tempo non può più essere indagato da un punto di vista esclusivamente filosofico. Sempre più evidente appare infatti che il tempo è una «forma», un «valore», attraverso cui si esprimono la socialità e la cultura e, soprattutto, sempre più evidente appare la problematicità che contraddistingue oggi il rapporto che l'uomo ha con il tempo.
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Nelle società industrializzate, il tempo sembra infatti sempre più insufficiente e la sua organizzazione appare ingiusta e irrazionale.
All'attività frenetica di alcuni - che conduce a una produttività discutibile e spesso contraria alla logica del rendimento - corrisponde l'inerzia di altri; la separazione drastica tra tempo libero e tempo di lavoro tende a tradursi in sprechi economici incalcolabili e si rende inaccettabile proprio a partire dalla stessa densità crescente dei rapporti sociali. Strumento di organizzazione della vita collettiva il tempo sì trasforma in un impedimento all'organizzazione. Solo con un'analisi del rapporto tempo-cambiamento sociale è possibile non solo analizzare le cause di queste contraddizioni, ma anche azzardare qualche previsione per il futuro. Alla base deve comunque essere il presupposto che, se cambiano le finalità e i valori sociali, anche il tempo - la sua disposizione e suddivisione - deve registrare tali mutamenti ordinandoli e inquadrandoli nelle proprie strutture; quando questa registrazione non avviene o avviene in ritardo, il tempo perde la sua funzione ordinatrice e diventa ostacolo, un moltiplicatore dei fenomeni di disfunzione che si accumulano nei processi sociali.