A 20 anni dalla entrata in vigore del d.lgs. n. 231/2001 gli strumenti di compliance si sono moltiplicati (anche nel diritto penale) ponendo al centro dell'agire di impresa l'archetipo dell'auto-regolamentazione.
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I modelli in conformità sono aumentati interessando diversi settori: dalla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro alla disciplina antiriciclaggio, dall'ambiente alla protezione della privacy. Da ultimo, con il Codice delle imprese e dell'insolvenza, il principio di correttezza organizzativa diventa definitivamente clausola generale della buona gestione aziendale. Gli strumenti organizzativi e di vigilanza cui la alluvionale produzione normativa “speciale” ha dato luogo, seppur caratterizzati da finalità diverse, riproducono medesime procedure e duplicano medesimi controlli, in una quasi totale assenza di coordinamento. Oltre a causare dispersioni di efficacia e di congruità operativa, gli interventi legislativi hanno spostato definitivamente l'asse dal Modello 231, che è diventato "solo" uno dei momenti di organizzazione preventiva, perdendo la sua centralità. Una centralità che, al contrario, deve essere recuperata, portando a sistema i variegati frammenti di compliance secondo una proiezione unitaria. È, cioè, necessario costruire un rinnovato Modello di organizzazione e di gestione uniforme, che, fungendo da cornice, rifletta più descrizioni di compliance. I singoli frammenti devono essere, tuttavia, coordinati in modo armonioso affinché il Modello sia anche espressione di continuità e di chiusura. Per poter riacquistare la sua funzione – e quindi efficacia e interesse – il Modello 231 non deve presentarsi isolato; al contrario deve definirsi in rapporto alla trama della narrazione della compliance cui gli enti sono tenuti. Soltanto se integrato all'interno di una correlazione, esso è infatti in grado di assumere senso (e forza).
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