Hilary Putnam è stato per molti anni, ed è tuttora, una sorta di baricentro della filosofia della scienza. Tutti i temi più caldi e delicati – dal rapporto mente-macchine a quello ragione-realtà – vengono a un certo punto da lui affrontati e fatti passare attraverso un vaglio quanto mai sottile.
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E si può dire che, una volta passati da quel vaglio, quei problemi non si presentano più come si presentavano prima. Se trasponessimo in termini medioevali la situazione di oggi, Putnam vi occuperebbe un luogo analogo a quello di san Tommaso, ugualmente opposto al nominalismo (che oggi sarebbe rappresentato innanzitutto da Quine, ispiratore-avversario di Putnam) e all’idealismo platonizzante. Putnam, di fatto, è un realista. Ma, contrariamente ai realisti letterari, quelli scientifici sono tenuti a mostrare una straordinaria sottigliezza. La loro scommessa di accettare l’esistenza di una realtà li obbliga a procedimenti estremamente rigorosi e sofisticati. Maestro fra tutti loro, Putnam è convinto che, se si vuole ancora dare un senso preciso alla parola ragione – questa entità dai contorni sempre più fantomatici –, occorrerà sottoporla a prove durissime e controllate passo per passo. E in questo senso le analisi di Putnam si sono rivelate preziose anche per i suoi avversari.Mente, linguaggio e realtà è apparso per la prima volta nel 1975.