«La conformazione giuridica degli ordinamenti "occidentali" fa perno su due grandi vicende: libertà e diritti, da intendersi — questi ultimi — come interessi protetti e immediatamente azionabili, ossia libertà che gli ordinamenti ritengono di giuridificare nel loro esercizio attraverso presìdi di tutela.
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Fino a una trentina d'anni fa i consumatori, in quanto tali, non erano titolari di diritti soggettivi, nel senso che la loro libertà economica e consumeristica fosse assistita da azione giudiziaria. Piuttosto, la legittimazione ad agire in giudizio era attribuita alle sole imprese con riferimento al rispetto delle regole della concorrenza. I diritti dei consumatori si limitavano al campo civilistico, nella loro veste di acquirenti; nessuno o, comunque, scarso rilievo invece nella loro veste pubblicistica di attori del mercato. Questa è la dinamica di gran parte dei Paesi di civil law, in Italia con l'art. 2598 c.c.: atti di concorrenza sleale, dove l'interesse collettivo recupera terreno attraverso fattispecie che implicano la violazione della correttezza professionale; ma per il codice del 1942 non è il consumatore che può recarsi dinnanzi ad un giudice bensì l'impresa che trascina anche, eventualmente, l'interesse dell'utente, in quanto una volta ristabilita la concorrenza violata, questi avrà di nuovo più scelta, più prodotti e servizi nel suo paniere (...)» (dalla prefazione di Alberto Maria Gambino )
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