L'ermeneutica, negli ultimi tempi, sembra rivalutare indirizzi più restrittivi, di segno analitico o comunque ispirati ad un realismo moderato.
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A differenza dei creativi, degli scettici, degli «ermeneutici giuridici contemporanei», il lettore si mostra così orientato al recupero del significato delle parole, del senso terminologico della disposizione nell'ambito del quale l'interprete può muoversi più correttamente. Ebbene, a fronte di una generale tendenza del giudice a prevalere sulla legge - una sorta di «rivoluzione clandestina», di supplenza giudiziaria al potere legislativo - ad evitare di perdersi in questo diritto penale oramai divenuto «flou», «liquido», «senza codice», occorre rimanere saldamente ancorati ad una dimensione condivisa tra perimetro semantico e dimensione teleologica della norma penale che come cerchi concentrici si dispiegano l'uno sull'altro. Non è solo un problema di prevedibilità e, quindi, di valore condiviso del precedente; è prima ancora un obbligo di conformità al tipo ovvero un problema di riconoscibilità della norma penale, rispetto al modello legale. Attraverso troppi microlifting ermeneutici, difatti, si corre il rischio di trovarsi di fronte ad una norma teoricamente prevedibile, ma in realtà irriconoscibile, in quanto atipica; in sintesi di tradire la tipicità, «l'anima più profonda della legalità» e, quindi, dello stesso diritto penale.
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VAN00@Biblioteca del Dipartimento di Giurisprudenza