Per i suoi contemporanei, Thomas Browne fu un grande antiquario, un medico illustre e, soprattutto, un "wit", definito volta a volta pedante o ironico, scienziato retrivo o promotore entusiasta della scienza nuova. Le sue opere sollevarono dispute teologiche e scientifiche, eruditi gli chiedevano consigli su disparate questioni.
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I lettori più moderni, a partire da Lamb, Coleridge, De Quincey, fino a Borges, scoprirono che Browne poteva essere considerato innanzitutto come letterato; che il fascino della sua prosa era, in certo modo, ineguagliato nella letteratura inglese; che l'astrusità delle sue preoccupazioni rendeva i suoi scritti ancor più rari e curiosi; che l'aura del remoto avvolgeva ogni pagina. Così Browne divenne uno scrittore per raffinati, una preziosità letteraria, una felice aberrazione. La sua opera - elusiva, fondata su di una cultura composita e scritta in una cadenza naturalmente religiosa e cerimoniale - si presenta come una complessa figura sul punto di disfarsi, come un mosaico le cui tessere stiano per essere separate e disperse.
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VAN07@Biblioteca del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali